Saluto di insediamento di Don Gennaro

Carissima comunità del Sacro Cuore di Gesù che vengo a servire ed amare nel nome del Signore,

“Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore!” (Sl 115,12-13)
Mi appresto a dire poche parole partendo proprio da questa espressione del salmo: “alzerò il calice della salvezza”. Che cosa vorrei, che cosa sogno, che cosa desidero? Che questa comunità, ed io come suo parroco, in questo momento fosse innalzata!
Questo innalzamento sarà possibile se ci lasceremo guidare da alcuni registri: anzitutto il registro dello Spirito, poi il registro della qualità delle relazioni, ed ancora il registro della gratuità. Tutti questi tre registri sono, si manifestano, si esprimono, nell’Eucaristia: lì è il modello del nostro essere, del nostro agire, del nostro vivere, del nostro testimoniare la nostra esperienza cristiana, in cui il termine “cristiano” non è semplicemente un aggettivo che si aggiunge alla nostra vita ma è l’essere come Cristo, nel fare quello che Lui ha fatto.
Ho poi un sogno, un desiderio che ritengo importante, una testimonianza dovuta agli uomini. Essi vogliono vedere da noi una qualità di relazione che non è semplicemente dettata dalle simpatie, dai favori, dall’interesse ma unicamente e soltanto dall’amore, dal rispetto, dall’essere tutti e sempre come il buon samaritano che si prende cura, che è capace, come ci dice il Vangelo, non di amare perché sei stato amato ma di amare per primo, di amare senza ritorno, di amare senza interessi, di amare tutti, di amare nonostante tutto, di amare il tutto.
In tutta franchezza vorrei dirvi che ho intenzione di fare il parroco e non altro, ad ognuno il suo compito! Sarò, perciò, colui che vi aiuterà a vivere nella comunità le relazioni. E questo mi impegna a mettermi in ascolto, a non chiudere gli occhi e a volte nemmeno la bocca.
Vorrei che si mettessero a fuoco le relazioni. La relazione con Dio, innanzitutto: perché sia una comunità secondo il Vangelo.
In secondo luogo vorrei che si mettesse a fuoco la relazione con gli altri, nella parrocchia e al di fuori della parrocchia. Ogni volta che ci chiuderemo nel difendere privilegi di lobby parrocchiali che dividono deturperemo il volto bello della comunità. Dobbiamo aiutarci a combattere quella “cultura dello scarto” di cui parla Papa Francesco. Ogni persona del popolo e del popolo di Dio ha un valore assoluto e grande. Non possiamo lasciare indietro nessuno! In questo cammino di servizio noi cristiani siamo chiamati ad essere testimoni di un amore ancora più grande, ancora più aperto, gratuito e generoso. Guai se mettiamo i muri proprio noi. Non possiamo preoccuparci soltanto di coccolare il sentimento religioso delle persone perché noi dobbiamo costruire insieme la civiltà. E questo richiede lo sforzo di accoglienza da parte di tutti, di confronto e di mano tesa da parte di tutti. Così dobbiamo costruire. Altrimenti si creano realtà dove ci si giudica, ci si condanna e non ci si stima.
Un ultimo punto è la relazione con noi stessi, quella grande capacità di dialogo con la nostra vita, quel chiedere un di più a noi, quel chiedere in un rapporto difficile, sempre un supplemento di amore, di fiducia verso gli altri.
Sono queste le piccole cose che vorremmo sognare tutti e se le sogneremo insieme si realizzeranno, perché fin quando è il mio sogno, resta tale, ma quando è un sogno condiviso, quando è un sogno di tutti, allora è la realtà.
Ma ci sarà tempo, fratelli e sorelle, perché sognisiano condivisi e diventino progetto e cammino.
Vorrei ora dire grazie e per non sbagliare mi sono lasciato guidare dal salmista che prosegue dicendo: “invocherò il nome del Signore”. Io voglio invocare il nome del Signore in ringraziamento su tutti e su ciascuno di voi, presenti e assenti, vicini e lontani, su chiunque invoca il nome del Signore. A tutti dico grazie, soprattutto per le parole di stima: ho sentito grandi parole di stima nei miei confronti che non merito perché ancora non vi ho dimostrato niente. Spero di meritarle, ci proverò.
Invoco il nome del Signore su di te, carissimo Vescovo Domenico. Sempre e in ogni tuo intervento mi ha dimostrato il tuo affetto di padre, il tuo incoraggiamento, sostenendomi nell’accettare e nell’accogliere la volontà del Signore, grazie! Ti voglio bene!
Invoco il nome del Signore su tutta la famiglia presbiterale che in voi, cari confratelli sacerdoti, oggi si è resa vicina a me. Sui sacerdoti che mi hanno preceduto, nella guida di questa comunità, lavorando in questa vigna, sopportando il peso ed il calore della giornata tutta intera. In particolare don Angelantonio che con gioia mi ha accolto. Grazie del tuo accompagnamento e dei tuoi preziosi consigli.
Invoco il nome del Signore su tutta l’articolazione di questa comunità ricca e bella che il Signore oggi mi dà come un regalo, come una dote. Grazie! Cercheremo di vivere, di lavorare, di impegnarci tutti nella vigna del Signore.
Invoco il nome del Signore su tutti quelli che per un motivo o l’altro si son fatti presenti con un pensiero, una preghiera, un dono, un ricordo, uno scritto, una telefonata, un messaggio, ai quali magari non ho potuto rispondere o corrispondere come avrebbero voluto e soprattutto come avrebbero meritato.
Concludo con un’immagine che vorrei donarvi e che desidererei portassimo a casa questa sera come provocazione e spunto di riflessione. Mi sembra una bella parabola visiva: il relitto della Concordia. A volte la Chiesa come la Concordia finisce sugli scogli. Conosciamo tutti la vicenda di questa nave da crociera. Era facile dire è stato uno solo che ha sbagliato tutto. Scusate, ma non ci credo! Non sono l’avvocato di Schettino. Ma la Concordia è finita sugli scogli perché ha finito di essere concordia ed è diventata discordia. Questo è il motivo! Io credo che possiamo farcela anche con la nostra comunità cristiana, se smettiamo di essere discordia e diventiamo concordia la nostra comunità può camminare e arrivare lontano. Questo credo che sia il nostro programma da vivere assieme.

Grazie a tutti! E ora, insieme, in nomine Domini, procedamus.

                                                          Don Gennaro Bufi