Omelia del Giovedì Santo (18 aprile 2019)

Fratelli e sorelle,

eccoci giunti alla sera con cui iniziano i tre giorni più importanti dell’anno liturgico. Oggi la Chiesa sparsa nel mondo si ferma, entra nel Cenacolo, ed è potentemente richiamata dal Signore ad amare in modo concreto.

È concreto l’amore vicendevole: è lavarsi i piedi.

Anche noi, stasera, nella nostra chiesa, illuminata a festa, adorna di fiori, profumata di incenso e di crisma, sui lini più belli che rivestono l’altare, tra sentimenti diversi, attese, speranze, vuoti da colmare, rabbie da stemperare, dubbi da risolvere, domande da fare, siamo qui, per celebrare l’Eucaristia, in attesa di inginocchiarci davanti a colui che si è inginocchiato davanti a noi.

Anch’io vi confesso un coinvolgimento forte. Vi confesso anche una difficoltà nel preparare qualcosa da dirvi oggi, difficoltà che nasce dal contrasto tra le parole che proclamiamo, i gesti che facciamo e la nostra vita, la mia, di cristiano e sacerdote, la nostra, di comunità, di famiglie. Come possiamo celebrare il mistero dell’amore se siamo a volte così lontani da un autentico amore, se anche tra noi uomini ci sono chiusure, egoismi, lotte, dissapori? Chi di noi non ha qualcuno, figlio, genitore, familiare, amico, confratello, collega, da cui in questo momento non si senta lontano? Ha senso allora celebrare il mistero della comunione, dell’unità, del servizio?

Sì. Ha senso, proprio perché nessuno di noi è senza peccato, tutti abbiamo piedi e mani e cuori sporchi. Ha senso perché ognuno di noi si renda capace di nuovo del coraggio avuto da Cristo. Il coraggio dell’umiltà. Tra l’annuncio di un tradimento e la crocifissione, Gesù prende tra le mani quei piedi e li lava. Ha strofinato con le sue mani i piedi di Pietro, quelli che l’avrebbero fra poco portato lontano da lui nel tradimento, ha preso tra le mani i piedi di Giovanni, il giovane innocente e ingenuo che avrebbe preso il suo posto accanto alla mamma Maria, ha preso tra le mani i piedi di Giuda che presto avrebbero oscillato al vento, ha preso tra le mani i piedi di ciascuno di noi, ha pensato a tutti i nostri percorsi sbagliati, le nostre fughe da lui, le nostre avventure incoscienti, i nostri tradimenti.

Ecco, davanti alla nostra indegnità di partecipare alla sua mensa Gesù si fa vicino, perché ci ama, mi ama così come sono. Perché l’amore vero non guarda in faccia; non cerca sorrisi di approvazione, sguardi di compiacimento; l’amore vero non ha paura; l’amore vero si china ai piedi. E quando si lavano i piedi non puoi guardare in faccia la persona che hai davanti. I piedi, anche a differenza delle mani che possono aprirsi e chiudersi, non hanno espressione. Sì, puoi distinguere il piede grande dal piccolo, il colore della pelle, il piede di un uomo o di una donna, ma alla fine tutti sono ugualmente bisognosi di essere lavati.

Quel gesto di Gesù è una predica ricca di tenerezza; priva di retorica.

Il Signore rivolge proprio a noi quella domanda: “Sapete ciò che vi ho fatto?” (Gv 13,12).

Cristiani di questa comunità lo sappiamo davvero? Riusciamo a capirne le implicazioni?

“Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14).

Difficilmente, cari amici, potremmo essere portatori di annunci credibili, se non fossimo capaci di questo gesto; anzi, mancheremmo di credibilità presso tanta gente che ci guarda per cogliere in noi gesti di coerenza, se al nostro interno serpeggiasse rivalità, fastidio, estraneità, addirittura inimicizia; se ricusassimo di lavarci i piedi gli uni gli altri.

Scrive Madeleine Delbrêl: “Se dovessi scegliere una reliquia della tua Passione prenderei proprio quel catino colmo d’acqua sporca. Girare il mondo con quel recipiente e ad ogni piede cingermi dell’asciugatoio e curvarmi giù in basso, non alzando mai la testa oltre il polpaccio per non distinguere i nemici dagli amici, lavare i piedi del vagabondo, dell’ateo, del drogato, dell’omicida, di chi non mi saluta più, di quel compagno per cui non prego mai, in silenzio, finché tutti abbiano capito nel mio il tuo Amore”.

È concreto l’amore all’Eucaristia: “Prendete e mangiatene”.

Qualcuno potrebbe ben dire: “ma in questo modo amare significa fallire, essere perdenti, essere incompresi!” Sì, agli occhi del mondo, ma agli occhi di Dio, no! L’amore vero non è mai un fallimento! E non c’è segno di amore più concreto di questo: Dio si consegna a me. Dà se stesso per me.

Carissimi, il problema è che noi non ci crediamo veramente, o almeno che non ci crediamo abbastanza! Perché se ci credessimo, subito la vita, noi stessi, le cose, gli avvenimenti, il dolore stesso, la nostra comunità, tutto si trasfigurerebbe davanti ai nostri occhi.

Sul piano personale c'è poi l'esperienza della nostra povertà e miseria che ci fa dire: "Sì, questo amore di Dio è bello, ma non è per me! Io non sono degno di partecipare alla tua mensa...". Fratelli, oggi il Signore ci ha convocati per dirci che ci ama e che tutti siamo degni di accostarci alla sua mensa, a tutti è data la possibilità di indossare l’abito della festa, tutti possiamo amare come lui ci ha amati. Gettiamo il nostro cuore nell’Eucarestia. Non sono degno Signore, ma tu dirai una parola, dirai: è il mio corpo, per te! Ed io sarò salvato.

È concreto l’amore del presbitero: è servo.

Oggi celebriamo anche l’istituzione del sacerdozio ministeriale.
Un presbitero senza una Comunità sarebbe privato non solo dei piedi da lavare, ma anche di qualcuno che gli insegna a lavare i piedi reggendo la brocca e il catino. La liturgia tra poco mi chiederà di compiere un gesto di cui sono chiamato a darvi sempre l’esempio. Perciò, questa sera vi chiedo di pregare anche per me, per Padre Andrea, perché il nostro sguardo sia sempre fisso sui piedi di chi ha bisogno, i nostri interessi non siano altri se non servire chi chiede aiuto, la nostra attenzione non sia rivolta ad altro se non al catino nella cui acqua si riflette il volto di Cristo.

“Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi” (Gv 13,15). La decisione di seguire Gesù si traduca allora in gesti di accoglienza, di comprensione, di servizio, di perdono; si traduca in gesti d’impegno sociale. E siano gesti visibili!

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