Omelia  del giovedì Santo (2018)

«Che cos’è un rito? disse il piccolo principe.

Anche questa, è una cosa da tempo dimenticata, disse la volpe. E’ quello che fa un giorno diverso dagli altri giorni, un’ora dalle altre ore. C’è un rito per esempio presso i miei cacciatori. Il giovedì ballano con le ragazze del villaggio. Allora il giovedì è un giorno meraviglioso! Io mi spingo sino alla vigna. Se i cacciatori ballassero in un giorno qualsiasi, i giorni si assomiglierebbero tutti e non avrei mai vacanza. Così il piccolo principe addomesticò la volpe».

(Antoine de Saint-Exupéry, Il piccolo principe).

 Fratelli e sorelle, anche per noi questo è un giovedì meraviglioso. Con questa celebrazione, infatti, entriamo nella Pasqua di Risurrezione, anzi, si potrebbe dire che proprio questa S. Messa ne è un gioioso anticipo: le campane ci hanno invitato a far festa, abbiamo cantato insieme il Gloria, c’è il profumo dell’incenso, dei fiori, del pane, dell’olio, il profumo dei sacri lini, tutti questi segni ci indicano che qualcosa è cambiato: il fiume della quaresima è sfociato nel mare della misericordia di Dio che contempleremo nel Triduo Pasquale del Signore crocifisso, sepolto e risorto.

Gesù ha organizzato l’ultima cena per noi, non in una stanza qualunque ma in un cenacolo, la nostra Chiesa, che è una stanza collocata al piano superiore della casa, a un piano sopraelevato rispetto alla realtà ordinaria, alla vita di tutti i giorni. Ogni volta che siamo a Messa saliamo a un livello superiore della vita, vediamo le cose dalla prospettiva di Dio, lì avviene il nostro incontro con lui, la comunione con Dio.
Quella sera nel cenacolo sono accadute molte cose tra Gesù e i suoi che si ripeteranno nuovamente stasera.

Recupero solo due gesti che anche stasera rivivremo. 

   1. Lavare i piedi

Il primo gesto che Gesù fa è di prendere tra le sue mani i piedi degli uomini e lavarli. Il racconto del vangelo dice che Gesù si alzò da tavola e depose le vesti. Per il vangelo di Giovanni “deporre” è una tipica espressione per indicare il gesto di “offrire la vita”, Gesù si spoglia della propria vita per donarla all’uomo. Poi Gesù prende l’asciugatoio che era e ancora oggi è lo strumento del servizio, si cinge l’asciugatoio ai fianchi!

Gesù non è un servo part-time, non fa servizio a ore, tutta la sua persona è servizio, il suo nome stesso è “Servo del Signore”. Il suo è un servizio permanente, tant’è vero che quando riprende le vesti non viene detto che si toglie il grembiule. Anche ora, mentre io vi parlo, Gesù è in atto di servizio verso di noi, sta passando a servirci. 
Poi Gesù lava i piedi agli apostoli. Nella cultura ebraica era compito dello schiavo stare alla porta e lavare i piedi sporchi degli ospiti che arrivavano dopo un lungo viaggio. Lavare i piedi impolverati era un rito di purificazione e di ospitalità. Lo doveva compiere lo schiavo, un uomo che nella classifica sociale di quella cultura valeva “zero”. Possiamo immaginare la scena: stendevano i piedi sporchi, lui li lavava e asciugava, nessuno sguardo o parola di gratitudine erano dovuti allo schiavo, pronto a prendere tra le mani un altro piede. Questo spiega la reazione contrariata di Pietro: “Signore tu lavi i piedi a me? Pietro resiste al gesto che vedrebbe Gesù fare la parte dello schiavo, ma poi viene convinto dalle parole del Maestro stesso: “Se non ti laverò, non avrai parte con me”. Allora cede e si lascia lavare i piedi, perché “avere parte” con Gesù, cioè essere in comunione con lui, è importante per Pietro. 

Ma qual è il significato del gesto di lavare i piedi agli uomini? Perché Gesù lo compie? E perché proprio i piedi? Perché i piedi rappresentano il luogo in cui gli uomini vengono feriti. Qualcuno di voi ricorderà la storia di Achille, l’eroe che aveva il suo punto vulnerabile nel piede e durante l’assedio di Troia fu colpito al tallone e morì dissanguato. La Bibbia ci ricorda che il serpente insidierà il calcagno di Eva. Il valore simbolico del piede sta nel fatto che, permettendoci il contatto con la terra, rappresenta il punto di appoggio per la nostra postura verticale. “Stare in piedi” è decisivo per l’uomo. Se stai in piedi sei libero di muoverti e di realizzare i tuoi scopi. Se hai il piede ferito significa che sei minacciato e la tua stabilità è compromessa. Dio lava i nostri piedi perché li vuole purificare, perché ci vuole rialzare, ci vuole rimettere in piedi. Gesù nel cenacolo compie il gesto della lavanda dei piedi che è profetico del Calvario e ci offre la chiave giusta per interpretare il senso della croce come il servizio compiuto per renderci liberi e per restituirci la nostra dignità che è quella di essere creati a immagine di Dio per essere figli del Padre. 

Nel pomeriggio, mentre pregavo per voi, mi sono chiesto: quale gesto Gesù vorrebbe fare per questa nostra comunità parrocchiale? E mi sono detto che Gesù desidera fare proprio questo gesto: “lavare i piedi”, per rimetterci in piedi.

Fra poco ripeterò il gesto di Gesù che si è avvolto i fianchi con l’asciugatoio e poi ha avvolto i piedi dei discepoli con l’asciugatoio. Il grembiule, cioè il servizio, dalla persona di Gesù passa ai nostri piedi.

Una comunità  sta in piedi quando serve, quando apprende l’arte di servire, quando corre il rischio di servire. Stendiamo i nostri piedi davanti a Gesù che passa per lavarli; lasciamoci lavare dalle sporcizie, in una parola: lasciamoci amare, salvare, redimere da Gesù. Sapete che lasciarsi amare è più difficile che amare. Si insinua in noi il sospetto di non essere amabili, degni dell’attenzione di qualcuno: perché qualcuno dovrebbe interessarsi a me, essere buono con me? È il virus di Pietro che pensa di essere autosufficiente, di farcela da solo e per questo respinge il servizio di Gesù. 

   2. Offrire il suo Corpo

C’è un altro gesto compiuto da Gesù nel Cenacolo che vorrei porre in rilievo: quello di mettere il suo corpo tra le mani dei discepoli. Nelle sue mani Gesù prende i nostri piedi; nelle nostre mani, invece, depone, come fossero un trono regale, un frammento del suo corpo. Carissimi, viviamo una stagione della vita in cui percepiamo con forte intensità il valore del corpo, la sua vitalità, la promessa di felicità di cui il corpo è portatore. Ma proprio in questo ambito della corporeità si possono consumare grandi ambiguità: il corpo può essere una centralina di impulsi, di bisogni, di eccitazioni, di emozioni da gratificare; oppure può essere il luogo dell’incontro, della comunione, della comunicazione. La vocazione dell’uomo è far diventare parlante il corpo, trasformare un ammasso biologico in un volto che parla, sorride, bacia, vive lo sguardo, l’ammirazione, il canto e l’incanto dei sentimenti che nascono quando ci si trova in presenza dell’altro. Quel corpo che Gesù depone nelle nostre mani è un corpo spezzato, offerto, condiviso. È un corpo parlante dell’eterno amore di Dio. Dio ama così tanto l’uomo che si preoccupa di nutrire la sua vita. Questo corpo eucaristico noi lo chiamiamo semplicemente “comunione”: bellissima abbreviazione che dice tutto perché quel Corpo è in grado di nutrire il nostro corpo dell’amore di Dio e trasformarlo da corpo che vuol possedere per soddisfarsi a corpo che si lascia spezzare per nutrire la vita di altri. 

Acqua per i piedi, perché Gesù vuole metterci in piedi.

Pane sulle mani, perché Gesù vuole trasformarci in comunità di comunione.

Ecco il mistero che celebriamo stasera.